Araba Fenice

14.1.03

L'Alchimia sacra e filosofica descrive l'Opera spagirica come una progressiva separazione delle impurità per giungere alla ricomposizione delle parti in una nuova forma, pregna della propria essenza e libera da condizionamenti e contaminazioni terrene. Può anche apparire stravagante che chi si adopera tanto a separare e rifuggere la materia come il mondano, poi dedichi l'intera sua vita ad esaltarlo. Fatto sta che la convinzione degli Alchimisti era anche che l'essenza di Dio fosse per l'uomo celata nella Materia e che il nostro compito sia quello di farla risplendere per renderla conoscibile a se stessa. Naturalmente, così dicendo, stiamo implicitamente affermando che l'Opera consente a Dio di prendere ogni volta nuova coscienza di sé. E ognuna di queste prese di coscienza è una fase dello sviluppo dell'umanità (o della singola persona) che si accende. Non deve sembrare troppo strana questa visione materiale della divinità, in quanto proprio Cristo, il Salvatore aveva esaltato il concetto nell'idea di resurrezione, non dello spirito, ma del Corpo, pur che debitamente purificato dalla morte a se stesso.
Quest'idea non è altrettanto chiara, anche perché il più delle volte non condivisa dalle psicologie contemporanee, il più delle volte dedite ad un'operazione perniciosa, qual'è la sintesi, la condensazione delle parti, nell'Opera spuria, carica di ideologie, di contaminazioni, di compromessi e possessività di tipo proiettivo (o di identificazione proiettiva).
La purificazione dalle parti, dai carbonati spuri, dall'attorcigliarsi delle maschere al sentire è il lavoro più lungo e penoso, quello che gli alchimisti chiamavano nigredo o "Opera al Nero" (la separazione del piombo e dei metalli pesanti in genere), resa celebre dal libro di Margherite Yourcenar.
Il lutto della separazione dalle parti voluttuose che paiono le più vitali per arrivare alla rassegnata consapevolezza che le inquietudini e la sofferenza nascono dall'ambiguità dell'attaccamento è sicuramente il processo più lungo e quello meno glorioso, sia nella spagira che nella psicoterapia. Non di rado il lavoro si ferma qui, ad un elaborato consapevole delle proprie parti, accuratamente distinte e ordinate. La terapia delle nevrosi il più delle volte si ferma a questo livello intermedio. Questa è la ragione dei frequenti ritorni e ricadute.
Non bisogna essere però troppo severi con queste evoluzioni incomplete: per molti clienti o pazienti che dir si voglia, questo traguardo è il massimo raggiungibile e già prima di giungere qui non di rado si esce sconfitti a metà percorso.
La purificazione che fa da preludio alla nigredo è un buon punto per fermarsi con persone particolarmente giovani e comunque restie ad affrontare le dinamiche del lutto che costituiscono la vera essenza di questa fase. "Resta felice dell'apparenza, almeno fino a quando hai la possibilità, fortunata o sfortunata, di potervi rimanere.
A questa fase si ascrivono gran parte delle terapie transazionali, comportamentali e di tipo cognitivo che lavorano sulla riparazione, possibilmente saltando il lutto e la separazione, la perdita della condizione di onnipotenza.
Quando incominciamo invece a distinguere fra quanto appartiene alla propria identità e quanto le è estraneo iniziano i veri dolori, soprattutto perché la prospettiva che si offre non è tanto quella di ritornare guariti in discoteca, quanto quella di essere più soli anche quando si sta in compagnia.
Spesso questa fase viene ben accetta nei pazienti che, in maniera agostiniana, si sono tolti i desideri peccaminosi nella gioventù e ora cercano un training per affrontare la maturità avanzata o l'inizio della vecchiaia.
Sono restio ad accettare questi moventi, perché sono quasi sempre strumentali, intimamente carichi delle maschere dell'adolescenza che fanno da sfondo a definire per contrasto il presente. Persone di questo tipo si presentano cariche di vissuto, mentre non riescono affatto a vivere correttamente il "Qui e Ora" e per convincerci fingono, tenendo celati segretamente gli scheletri nell'armadio che continuano segretamente a vivere in parallelo la condizione adulta.
Ancora più dolorosa può risultare quindi questa fase, perché i fantasmi vanno scovati, esumati e purificati uno per uno, con la fatica doppia di scovarli e riviverli da un lato, desiderarli, amarli e bruciarli vivi, dall'altro.
Questo è il lavoro tradizionalmente condotto sull'Io e sulle sue parti dalle varie psicoanalisi più tradizionali, a quelle dell'Io, ma anche della psicologia sistemica e della famiglia di tipo esistenziale (Whitaker, Satir...) all'ipnosi ericksoniana, dalla psicologia umanistica fondamentale come soprattutto la Gestalt (dalla sedia che scotta di Pearls alla narratività di Poltster, apparentata con Knowles e poi Demetrio); perfino alla PNL (o NLP che dir si voglia) partendo dal lavoro sui metamodelli fino ai processi di identità di Dilts possono, in modi molto diversi affrontano più o meno in profondità la separazione dell'Io. Capita talora che non sappiano andare oltre la scomposizione, ma in genere il più delle volte arrivano a ricomporre un'idea (talora un ideale) di Io, non sempre avendo perseguito con sufficiente assiduità l'obiettivo dell'espoliazione e della purificazione.
Superata questa fase, addirittura a metà dell'Opera al Nero si scorge all'orizzonte il profilo dell'albedo, l' "Opera al Bianco". In questa fase il Sale (metalli, parti pesanti dell'Io) sono stati separati, carbonizzati e inceneriti dopo che sono stati estratti e distillati anima e animus mercurio e zolfo, per venire poi riuniti e ridistillati fino a che non si ottiene il prodotto puro. L'Io puro non esiste, ovviamente, ma la fiducia ( talora contestata dai materialisti spirituali - alla Guenon - esperienziali) è che la persona giunta a questo livello abbia esperito questo suo Io in modo da discernerlo dalle manifestazioni del mondo, dalle sue maschere, e dall'irruzione delle contaminazioni.
Questa fase dell'Opera corrisponde al perfezionamento e al potenziamento della propria immagine, lasciando che spontaneamente emerga l'intenso entusiasmo amoroso ispirato di completare il processo di identificazione e individuazione del sé, il gamete originario, l'archetipo di sé sia fine a se stesso che in realzione agli archetipi collettivi.
Nessuno può realizzare un intervento su una monade, ma l'accoppiamento strutturale di cui parlavano Maturana e Varela può influire nella "rinascita del medesimo" nietzschiana e la relazione clinica può favorire la rubedo l'attivazione dell'energia che sprigiona dal nocciolo nucleare detto anche sé. Il "sé" va distinto dalla versione anglosassone che lo qualifica come un dato caratteriale di tipo personologico: si tratta di una contrazione di energia e materia, del gene originario, del proprio meme genotipico e fenotipico, l'archetipo che è la quintessenza di quanto ognuno di noi è scarsamente riuscito a divenire.
L'Opera al Rosso è presente e ovviamente ancor più arbitraria che nelle altre fasi, in molte delle psicoterapie che si richiamano alla definizione "Traspersonale" espressa da Maslow come il punto più alto dell'evoluzione della piramide dei bisogni umani. Le scuole, o meglio i sentieri del transpersonale sono diversi e molto sfrangiati: si va dall'approccio più o meno religioso di matrice occidentale o orientale, alle formazioni più o meno esoteriche, alle vie più scientifico-sperimentali come il caso di molte metodologie psicoterapeutiche, dalle più remote Psicosintesi e Psicologia Analitica (o del processo di individuazione) jungiana, alle più moderne sinossi.
Se la fase al Bianco è stata condotta bene, in quella al Rosso sarà l'interessato stesso a sapere che strade intenda intraprendere, il più delle volte passando dalla teoria alla pratica, riconoscendo "a pelle" l'insegnante.
La via transpersonale è controindicata per le personalità deboli che non abbiano consolidato a sufficienza i livelli dell'Io. Il rischio di plagio e di truffa grave dell'anima è alle porte ogni volta che ci si muove in questo mondo e il seduttore diabolico ha facile presa in questi soggetti che diventano ben presto manovalanza o carne da macello di sette per persi.
Nondimeno la persona evoluta fa gola tanto a buoni maestri che a millantati tali: è come potere disporre di una fonte di energia e di comunicazione straordinaria per quanto sono rare da trovare. Attenzione quindi a non cedere alla tentazione di declinare l'entusasmo per il sé ritrovato in finalità mondane. In questa fase il vero maestro non indirizza e men che mai seduce o persuade, ma segue e porta l'attenzione alle istanze individuali emergenti, consentendo alla persona di comprendere rischi e opportunità. Questo che stiamo percorrendo da un po' non è però più il fiume della psicoterapia: è ormai il mare dello spirito e la strada fin qui percorsa è stata così lunga che da un po' ognuno cammina con le proprie gambe per strade diverse. Com'è giusto che sia.
Per il santo Milarepa, i maestri non potevano che essere molti, anche quelli cattivi, e ognuno di loro aveva aperto una parte di lui, in modo che, per quanto pieno di gratitudine, diventasse egli stesso maestro del prossimo.