Araba Fenice

28.12.02

Proseguendo nella direzione di Kant, sia Bernhard che Bruner ribaltano l'idea di spazio e quindi di tempo. Lo spazio non esiste in sé, neppure come categoria trascendentale: è un attibuto dell'entelechia, dice Bernhard, esiste solo nell'alveo del destino dell'esistente, della sua direzione, il suo senso.
Al di là del senso non abbiamo ragione di credere che esista qualcosa come lo "spazio", né altro di simile. Quanto sia importante quest'osservazione lo intendiamo ancor meglio se usciamo dall'interesse tutto giudeo-jungiano di Bernhard per fermarci all'idea che lo spazio esiste nella delimitazione. Come dire che la retta è un concetto talmente astratto da diventare irrilevante o onnicomprensivo. Lo spazio è nel regno dei segmenti di retta o di curva (in questo anche le geometrie non euclidee sono euristicamente povere). Il segmento è il dominio dell'oggetto e dell'identità.
Per comprendere meglio l'idea ricorriamo allo sviluppo infantile. Brunner ci fa osservare in proposito che lo sguardo dei neonati non coglie lo spazio perché non lo distingue. Potremmo forzare l'idea dicendo che in fondo nel neonato l'esperienza dell'esistenza, del vivere, della presenza è un indistinto. A dare il senso del tempo saranno le regolarità, come i cicli nittemerali. A dare quello dello spazio è l'attività motoria. Prima ancora di imparare a camminare arriva la prensione e la prima prensione è la suzione.
Mano a mano che succhia, ad ogni poppata la pupilla si esercita a mettere a fuoco. Lentamente la messa a fuoco e il comportamento genitoriale lo porteranno a segmentare lo spazio in oggetti e questi sono solo perché dotati di senso.
Questo vuol dire anche che lo spazio è un attributo, ovvero un pretesto per il significato. Spostandoci sulla strada dell'autopoiesi potremmo sostenere che spazio e tempo non esistono in sé, ma solo come declinazioni del significato. Insomma si esce e si rientra in continuazione dal dominio kantiano, pur allontanandocisi nell'annicihilimento della categoria. Il mondo è costruito su due coordinate pretestuose.
Lo spirito, l'anima forse, ha bisogno di coniugarsi con il mondo. Lo spirito è l'unica retta e l'unica iperbole possibile. Cosa se ne fa del suo stato di iperbole? Perché giungere in vita se non per sperimentare la condizione di esistere, l'esistenza come segmentazione del dominio del significato? Dare il nome alle creature di Dio e moltiplicare nomi in quanto attributi di significato, questo il senso mitico della condizione umana.
Tanto è importante che Babele può in proposito essere considerata come una grande opportunità, più che come una dannazione. I miliardi di sfumature con cui descrivere il creato, ovverosia gli stati dello spirito.
Il sentire diverso è la differenza fra le parole, l'arricchimento, la moltiplicazione per separazione dei cromosomi di significato.
L'anima cresce nella parola, nello stesso modo in cui lo spirito rischia di spersonalizzarsi nell'identificazione delle sue parti in mille segmenti spaziati e in altrettanti segmenti temporali per di più elevati geometricamente per le lor infinite combinazioni.
La parola passa dall'essere la manifestazione del significato in quanto unica vera dimensione dello spirito (e in quanto tale arricchente), al divenire la vera malattia dell'anima che finisce per assorbire le proiezioni del significato, prima attribuite agli oggetti e poi da questi restituite. La fede nel linguaggio segmenta l'io, cerca di fare altrettanto con l'anima e questa nutre il timore ingiustificato che possa verificarsi lo stesso nello spirito.
Non è però possibile, perché la segmentazione e quindi lo spazio e il tempo dotati di legittimazione propria sono falsi, offuscano e falsificano la percezione della verità ai nostri occhi e a quelli dell'anima, ma certo non possono intaccare la verità che abita lo spirito che è in ognuno di noi lo stesso.
La persona non è un segmento dello spirito, ma piuttosto un suo passaggio, una variazione, una variazione tonale nella sinfonia di tutte le musiche e le arti esistite, a venire e potenzialmente irrealizzabili.
Il luogo, il tempo e l'identità sono periodi sui quali però non riusciremo forse mai, fintanto che siamo vivi, a non parametrare ogni evento e ogni scelta del nostro piccolo segmento di esistenza.