Araba Fenice

7.1.03

Leggendo il testo dell'intervista rilasciata negli ultimi anni o mesi della sua vita da Jung credo di avere per la prima volta potuto, non solo accettare, ma anche eccitarmi dell'idea di Archetipi dell'Inconscio Collettivo.
Quegli jungiani che hanno passato il tempo a saltabeccare fra miti greci e cavalieri medievali avrebbero frainteso il maestro, secondo il quale questi archetipi sarebbero delle configurazioni, dei pattern su cui insiste il comportamento collettivo. Come delle proteine, dei virus, avrebbero il potere di diffondersi nella comunità proprio come i memi di cui parla Il Gene Egoista.
Proprio come il biologo sottolinea il valore del meme per una sostanzialità diversa da quella fisica, anche Jung, dopo avere ricordato la nostra tendenza a rimuovere "la materia di cui è fatto il fenomeno", perché un "fatto" (che lui chiama anche "fantasma") esiste, è esistito e continuerà ad esistere, sostiene che i "fatti" hanno una loro sostanza, un corrispettivo della fisica della materia o di quella dell'energia.
Per questo possiamo considerare gli Archetipi dei geni della coscienza collettiva (preferisco quest'idea di coscienza, intesa come "stato di coscienza", a quella di inconscio). Sono dei modelli formali che precedono i miti; dei pattern nell'economia dei gruppi e dei popoli.