Araba Fenice

7.1.03

Martin Schönberger, in The hidden key of life edito nel 73 a Monaco e citato da Lama Anagarika Govinda ne La struttura interna dell'I King affianca l'ottetto degli esagrammi a quello della struttura del DNA dove "...i due cordoni di arresto UAA e UAG del codice genetico significano nel linguaggio dell'I King, RITIRATA (33) e ASTRAZIONE (12), mentre il segnale di partenza del codice genetico UAG significa IL VIANDANTE (56).
Anche questo diario nasce dal viandante. La partenza è sempre piccola e incompresa, ma per questo forte del potenziale energetico che l'entropia non ha ancora consumato.
IL VIANDANTE è la neghentropia, proprio come lo zero dei Tarocchi, il cosidetto matto che molto meglio sarebbe rinominare appunto "il viandante": l'incrocio del nastro di Möbius, il paradossale inizio e fine della retta o dell'infinito.
All'inizio non è l'Aleph o Mago, perché l'inizio vero coincide con il termine, con la fine. L'inizio è l'intangibile "punto", il collasso degli estremi, il paradosso fisico della massa imponderabile, senza peso. L'inizio è il nel senso jungiano, L'Unico in quello di Stirner... e ancora l'atman, "l'eterno ritorno del medesimo" o la bodichitta. Come il tao è per l'universale, il viandante è per il vivente.
Con l'Aleph, con il Mago, nasce l'Io, e con esso la Storia, in quanto declinazione delle Proprietà, nel senso che ne dà Stirner, ad un tempo di possedimento e di attributo. Il sé è spoglio e neghentropico fino a che ad esso non vengono conferiti degli attibuti, fino a che non viene coniugato con delle qualità che diventano immediatamente i suoi primi possessi, appunto, il doppio senso del concetto di proprietà. L'idea dell'io come prodotto del Demiurgo, da altri chiamato il "Re del Mondo". Per seguire il Cristo occorreva abbandonare quel che si aveva, non tanto i soldi come hanno voluto insegnarci le chiese, quanto gli attributi, il "proprio" le proprietà distintive di sé, l'Io, essere dei risorti, dei morti a se stessi o, più precisamente, morti dell'Io e risorti del sé.
Ogni pezzo del nostro "IO" è una manifestazione del Demiurgo della Gnosi, che ci seduce con la vanità del possesso, degli attributi o, come dicono i tibetani, dell'attaccamento.
Il padrone del velo di Maya ci seduce con l'illusione della "Realtà" che altro non è se non la decadenza dell'entropia. Il regno degli attributi è un bluff destinato a scomparire, a svuotarsi, mentre l'anima dovrà disperarsi per ritrovare il sé.
Allora il passaggio dal Mago è sbagliato. No. Non solo è inevitabile, ma è l'inizio dell'Alchimia, la Grande Opera, che prima o poi riesce a portare alla neghentropia qualche pezzo di vita. La vita non è maya, è energia e fenomeno. È la Dama prigioniera nel Castello che l'Eroe deve salvare, portandola alla verità (sottraendola dalla "Realtà"=Castello=Maya=Mondo).
Fino a che però continueremo a vederla nella maniera occidentale del bene contrapposto al male saremo sempre nelle mani del Demiurgo. Per questo occorre vederla come una danza i cui si esalta la grandezza di Dio, del Dio supremo che preferite e che in tutte le religioni c'è, compreso fra gli atei.
Prima di tutto però, la lezione insegna, si parte dal Viandante, sapendo che Viandanti si torna.
(dedicato a Giorgio Gaber, viandante della morale, parte dell'anima di questa esistenza)