Ennio

Arianna 
 
Psicologie inconsuete
 
 
 
di Ennio Martignago
 
n. 0.2 Luglio 1997 
   
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Per Bataille

Uno dei sfuggenti personaggi del contesto intellettuale della metà del secolo fu George Bataille. Autore discontinuo, come altri più famosi suoi conterranei contemporanei, ebbe nel ruolo di animatore del dibattito culturale la sua principale funzione. Portatore di un pensiero antropologico non coloniale proprio perché concentrato a corrodere le premesse della civiltà del colonizzatore, finiva per subire gli effetti della sua stessa originalità. Il suo stesso sentire lo faceva fluttuare fra emozioni ed impeti repentini fino a far perdere vigore alla lucidità del pensiero, divisa fra impulso e debolezza, fra hybris e saturnismo.
Personalmente avrei preferito un Bataille orfano intellettualmente e culturalmente. Tuttavia, le appartenenze sono essenziali per concepire il
tradimento. Come si può essere disertori se non si crede alla patria? Come poteva egli restare fino in fondo enfant terrible se non avesse smesso di cercare e rinnegare paternità? In un modo analogo, spinse a tavoletta i propri motori fino verso il muro della follia un altro genio della nostra epoca, Nietzsche. Bataille si fermò prima. I suoi conflitti erano ben compensati da una condivisione intellettuale ed erotica che Nietzsche non poté permettersi. La sublimazione in una dimensione estetica surreale ed in un onirismo accettato e coltivato fece il resto.

Ora però basta parlare di lui. Possiamo al massimo aggiungervi il ricordo dello stesso sentimento ambivalente di affetto e ripulsa che suscita il protagonista dell'autobiografico L'azzurro del cielo. Per il resto lo prenderemo in prestito, lo "useremo" per riprendere temi che solo lui ebbe l'ardire di affrontare, rimandando ai suoi lavori il lettore che intendesse avvalorare talune idee. La più importante di queste è per noi il ribaltamento della prospettiva romantica del rapporto dialettico fra sessualità e morte, poi edulcorata all'inizio del secolo dalla metapsicologia freudiana (presto smentita dalla revisione del Reich di L'analisi del carattere.
"Non c'è salvezza in Eros", sembra stare a dirci Bataille, e quel desiderio che è il motore stesso dell'amore fra le persone fisiche è forgiato della stessa materia di cui sono composti gli istinti più brutali ed atavici dell'uomo. Il fiore della bellezza e del piacere affonda le sue radici negli stessi recessi infernali della violenza, del sangue imprigionato dalla carne e dealla sua liberazione attraverso la passione inferta dall'amante come dal carnefice.
Stupisce come dopo Bataille si possa parlare di sessualità ed erotismo in chiave di ragionevolezza, di buon senso, quando non addirittura di igiene relazionale. Impunemente, gli anni '60 hanno creato il mito della disinibizione e del "sesso libero". L'inibizione della sessualità, lo aveva ben compreso a fondo Reich superando il perbenismo freudiano, è la turbina che porta energia alla cosidetta "civiltà". Le guerre, soprattutto quelle più efferate, come le guerre civili, ci hanno insegnato che le pulsioni più profonde dell'uomo portano alla reificazione e alla distruzione del soggetto. Il "cervello" rettile che è in noi si esprime con i comportamenti dell'orda. Aggredire, saccheggiare, violentare, trasformare l'altro in cosa e divorarlo: questa è l'essenza, all'estrema concentrazione, del piacere. L'amore sessuale è il frutto di millenni di argini che l'essere umano ha posto ai propri comportamenti ordali per sopravvivere al proprio peggior nemico: gli istinti allo stato puro. Persino l'
hard core e le più spinte sexy stars sono catechesi ed educande al confronto del nostro desiderio profondo. Nessuna forma di erotismo "civile" può dare soddisfazione ai bisogni più profondi del nostro erotismo ancestrale, la belva primitiva che insopita alberga in noi. Questo debole fantoccio che è la civiltà aveva funzionato discretamente. Solo ora che la disinibizione è diventata la parola d'ordine della società di fine millennio, il mostro si risveglia bramoso.
Il suo fine ultimo: distruggere la prigionia del corpo, il legame promiscuo di materia e spirito. Non è il male che porta la sofferenza, ma è la sanità che porta al desiderio di morte, alla liberazione dal legame temporale, al compimento degli ideali gnostici di ritorno alla "patria divina". Al pari, per odio e per amore si tende a sciogliere i legamo profondi, a uccidere. Il cancro stesso è una forma d'amore: cellule indiffeenziate che indicano un desiderio di partenogenesi, di rinascita nel proprio stesso corpo. E il cancro è questa malattia che fa la parte del leone in questo fine-secolo in cui è impossibile dire "odio" senza amore e "amore" senza odio, ma lo si
deve fare "civilmente". Una "disinibizione civile", la falsa coscienza del liberal-progressista.
Ricordo un ventenne schizofrenico che, ricoverato in comunità terapeutica, minacciava tutti perché non si risvegliasse la parte cattiva che era in lui. Il primario faceva ogni tipo di pressione perché avvenisse il contrario, rassicurandolo che ci avrebbe badato lui a quella parte. Così non fu, e lo psichiatra spaventato da quello che sosteneva essere «il matto più matto che avesse mai visto», lo affidò agli elettrochoc, perché lo sostituissero nel farsi carico di quella parte scomoda, scandalosa, perturbante e pericolosa.
Non deve stupire che la sessualità "normale" stanchi presto, anche perché non c'è più nulla da conquistare - tutti si danno a tutti - né da scoprire nell'atto-in-sé, null'altro che una ripetizione di frizioni monotone. La stessa fantasia va poi nutrita dal desiderio e dai valori. Quanti giovani hanno "l'altro" fra i propri valori in misura sufficiente da provare le stesse intensità di innamoramento che vengono narrate dalla letteratura e dal cinema? Le inibizioni dei benpensanti erano anch'esse generatrici di mostri, ma non è altrettanto da benpensanti concepire disinibizioni civili? Essere disinibiti con moderazione significa solo avere un'altra soglia di inibizione da abbattere. Non devono dunque stupirci il diffondersi della violenza sessuale, della pedofilia, dell'assassinio rituale, del turismo sessuale... Il desiderio, per sua costituzione stessa, tende all'estremo, aborrendo ogni razionalità e buon senso. Ed ecco che la versione maschile della sessualità rappresenta innanzitutto il mezzo per invadere ed espugnare gli spazi interni dell'altro, annullando simbolicamente il suo perimetro fisico, rompendo i suoi confini alla ricerca della "perla dell'anima". Nella sua versione femminile, vuole fagocitare, divorare l'altro, farne un bolo, un bozzolo di preda di cui nutrirsi imbibendolo dei succhi gastrici in uno stillicidio lento, oppure ghermendolo e sbranandolo come una pantera. L'istinto che muove tutto ciò non è però tanto la morta, quanto la rinascita e la fusione più profonda. Pure l'incesto, che della bramosia sessuale è una delle forme più ancestrali, rappresenta la regressione allo stato che precede la nascita. In quanto desiderio di ripercorrere il parto al contrario, il desiderio sessuale incestuoso è un desiderio di nuova fusionalità pre-natale. L'amore coniugale mira a fondere il mana dell'altro al proprio, a divorarlo in una nuova unità che si consuma solo con la fine della coppia. La separazione è un modo inefficace di anticipare questa fine, questa morte, per goderne in vita.
Non c'è salvezza in questo amore, non c'è amore in questa salvezza. È solo tutto, come diceva Nietzsche, "umano, troppo umano".

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