Arianna: psicologie inconsuete

Ennio

Arianna 
 
Psicologie inconsuete
 
 
 
di Ennio Martignago
 
n. 0.3, 24 Agosto 1996 
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Information Overloading ed equipollenza culturale

Molte e mirabolanti imprese si narra possano compiersi nel più o meno prossimo futuro grazie ad Internet e alle nuove forme di comunicazione in generale.

Intanto i sociologi ci dicono che in Italia un'alta percentuale di popolazione non ha terminato le scuole dell'obbligo e circa un milione di persone non sanno leggere né scrivere.
Affacciata al balcone statunitense del futuro, la Cassandra Furio Colombo ci avverte: "Internet è cattiva; ci porta ad un mondo a due velocità e due portafogli". Intanto in Belgio un gruppo di persone che, forse per paura di riconoscere che qualcosa del genere possa albergare in chiunque di noi, ci si ostina a chiamare maniaci, vale a dire malati dopo averle seviziate lascia morire di fame due bambine e di chissà quante altre stiamo ancora attendendo di conoscere la sorte.

Sento già le proteste di molti: «Ma cosa stai dicendo, Ennio? Che cosa hanno a che vedere queste cose fra di loro?»
La comunicazione, amici miei! La comunicazione e la cultura.

Partiamo da quest'ultima. Senza avventurarci in territori già percorsi da quanti altri, diciamo subito che di tutte le definizioni che sono state riscontrate per il termine, quando parlo di cultura intendo riferirmi all'apparato di significati e tradizione storica e di sapere che indirizza un gruppo sociale più o meno vasto a riconoscersi e a confrontare i propri valori. Nel bene o nel male, la cultura indica a quell'animale instabile che è l'uomo, che solo grazie a una convenzione non sprofonda in una radicale deflagrazione dei comportamenti e della vita di relazione, come discernere il giusto dallo sbagliato, il saggio dal folle, il bello dal brutto...

Per alcune popolazioni più semplici può essere sufficiente quella che Lèvy Strauss chiamava una cultura fondata sulle strutture di parentela. Gli etnometodologi e l'antropologia radicale mi ha insegnato che le categorie usate per "il buon selvaggio" mal si adattano alla nostra cultura". Il che non significa che noi si sia meno tribali. Il fatto è che il nostro tribalismo si fonda su una struttura più complessa e insondabile di quella della parentela. Abbiamo un'intero mondo fondato su istituzioni che regolamentano la cultura. Prima fra tutte la scuola, che è seconda solo alla famiglia (anzi, spesso la precede).

L'Italia uscita dalla seconda guerra mondiale, con la consapevolezza di dover passare del tutto la fase della sua prima rivoluzione industriale, puntò prima di tutto proprio sulla diffusione della cultura attraverso l'obbligo scolare. Dalle televisioni dei primi anni sessanta il maestro Manzi (chi se lo ricorda? è tornato da poco alla tele) insegnava ad usare della penna e dei segni con tale agile leggerezza da far stupire l'immigrato medio come e più di un prestigiatore. I loro figli non avrebbero dovuto essere analfabeti. Il più importante obiettivo era portare la prole all'università o almeno alle scuole superiori. Quanti anni ci sarebbero voluti? Poco importa: se ci si sforza tutti subito si potrà anche fare in fretta. Ed effettivamente miracoli se ne fecero. Lo zappaterra sollevava la schiena e i suoi figli entravano quasi a pari diritto in Europa e poi fra le sette potenze economiche. L'ignoranza era - quasi -sconfitta.

Poveri genitori! Poveri nonni! Poveri vecchi!

A cosa dovettero servire le rinunce di allora. Già dieci anni fa il gruppo di Cancrini e i giudici dei minori avvisavano della recrudescenza del fenomeno di un alfabetismo di ritorno. Ed eccoci arrivati ad oggi.

Perché proprio ora che i sessantottini sono arrivati alle leve dei comandi, loro che dicevano che "sapere è potere", siamo finiti in un mondo dell'ignoranza? Forse l'errore principale è stato quello di radicalizzare la critica alla cultura di regime fino a relativizzare del tutto l'idea stessa di cultura, mettendo in crisi con essa i fondamenti stessi dei valori dell'esistenza, i punti di riferimento del comportamento sociale. Tutto quà? No. Il fatto è che si è con estrema disinvoltura creato una allucinante equivalenza di significato fra informazione e cultura, quasi che le due cose fossero sinonimi. E il significato di informazione è rapidamente slittato a intendere "fede per il suo supporto", vale a dire il media. Certo, la televisione, ma anche i giornali.

E' di questi giorni un coraggioso fondo di Umberto Galimberti su "La Repubblica" (19/8/96) che fa riferimento ad uno dei tanti scandaletti dell'ultima ora per riflettere sull'influenza nefasta che certi luoghi comuni esercitano nell'anima dell'uomo contemporaneo. La strada che parte dallo "sfilatino" di Tomba, passando dalle potenzialità casearie della Falchi, fino alle pesanti incerte oscillazioni dei lombi della Parietti, è la stessa che arriva idealmente fino al Belgio o ai bambini espulsi dalle auto in corsa. C'è un assioma della reificazione che sta assurgendo a valore stesso. Se pensi che i chili o i chilometri di carne maneggiabile possano non essere un grande segno di evoluzione della specie sei passibile di essere posto alla berlina. Vieni comunque esplicitamente o sottaciutamente valutato un imbecille. Già, sapete qual'è la traduzione odierna di "imbecille": impotente e frustrato. Come si dice: "stupido"? "Ce l'hai piccolo!", "Sei ancora vergine!", e cosi' via. L'essere umano, seguendo un'involuzione mefistofelica, è sempre più descritto a chili. Negli esami di maturità lasceremo decidere ai macellai. Gli stessi che, stanchi delle stesse carni, vanno a comprare quelle belghe o indiane. Sì, perché il processo è lo stesso. Per molti consumatori di mass media la differenza fra il modello Madonna o Freddy Mercury e quello belga è solo questione di enfasi e inibizioni! I programmi della notte sono diventati il surrogato della sagra per il cittadino di fine secolo. Una volta mostravano penetrazioni e coiti orali. Venne la censura e ora propagandano le arti dei transessuali o la pornoproduzione a conduzione familiare: che cos'è peggio?
Non si tratta di essere puritani, no. Solo umani. Almeno di quell'umano che Nietszche avrebbe voluto superare come quella corda tesa fra l'animale e l'oltre-uomo, che ora si tende nel verso opposto. Non si tratta di abolire la tratta delle schiave consenzienti o di proibire ai figli lo scambio delle carni fine a se stesso, per essere i migliori. Basterebbe smettere di guardare Papi la sera. Invece la sua è la nuova chiesa. Il punto di riferimento della nuova pseudo-religiosità, quella della "domenica andando alla messa" dei tempi nostri. Eccone le consumate lenti svettare dal vuoto fra le basettine che accolgono venti milioni di spioncini televisivi.

Con maggiore grazia scrive Galimberti:

...«vergognarsi» è un verbo riflessivo che dunque rinvia a una riflessione su se stessi di cui non è proprio il caso di vergognarsi, c'è da notare anche che è un verbo che dice la nostra esposizione agli altri. «Vergognarsi» infatti viene da vereor gognam che significa «temo la gogna, la mia esposizione pubblica». (dire "non mi vergogno significa dire) «ho oltrepassato quello che per chiunque sarebbe il pudore e ho fatto della spudoratezza non solo la mia virtù, ma la prova della mia sincerità e della mia innocenza».

In questo modo (si) dà un ottimo esempio di quella omologazione dell'intimo a cui tendono tutte le società conformiste con somma gioia di chi le deve gestire perché, una volta pubblicizzata, l'initimità viene dissolta come intimità, e gli altri che dovrebbero stare al confine esterno dell'intimo, diventano letteralmente «inevitabili» ogni volta che ... ciascuno di noi prova una sensazione, un'emozione, un sentimento.

...anche il nostro corpo è diventato proprietà comune e, quel che un tempo era prerogativa di alcune dive, farsi misurare seni e sederi e far pubblicare le relative cife sotto la fotografia, oggi è il gioco di qualsiasi ragazza che non vuole passare per inibita. Ma anche il seso è diventato proprietà comune e, dalla stampa alla televisione, è un susseguirsi di articoli e servizi sui piaceri e sulle difficoltà della camera da letto, redatti sotto forma di consigli, in modo confidenziale, come se fossero rivolti solo a te e non a cinquanta milioni di orecchie.

Ma veniamo a Internet. Con le nequizie belghe ecco che la falsa coscienza va a cercare un capro espiatorio. Il traffico della miseria sessuale passa attraverso Internet: ergo Internet è il demonio. No, signori, Mefistofele siete voi! Il vero portavoce dello squallore sono i media che arrivano in tutte le case e non fra pochi dannati del computer. Certo, neppure le reti sono esenti dall'understatement, ma il fenomeno pornografico in rete è tutto sommato insignificante rispetto ai microvalori pervasivi diffusi da tele e giornali.

Qualcosa di peggiore si va insinuando invece nella intellighentia della rete che non è lontano dal fenomeno di cui si discuteva prima, ed è l'omologazione culturale.
Noi tutti sappiamo come proprio Internet stia facendo esplodere in dimensioni geometriche il fenomeno noto come information overloading , vale a dire l'eccesso, la saturazione cognitiva da informazioni. Centinaia di asserzioni, verità rivelate a basso costo, idee, punti di vista ci saltano addossi dai newsgroup o dalle mailing list. Non solo non siamo più in grado di elaborarle, ma pure stroncano le nostre capacità cognitive. Non siamo più in grado di discernere e il nostro cervello va in tilt. Ci informiamo, siamo affamati di informazioni. Non abbiamo più tempo per la critica, per la disamina. Queste attività sono fuori moda, lontane dal pensiero positivo (per modo di dire) che ci insegna che tutto è buono e che va preso per quello che è, e come un qualcosa in più. E noi aggiungiamo e aggiungiamo, ci riempiamo, ci satolliamo, ci strafoghiamo... dimenticandoci che il Signore non ci ha dotato di un rumine addetto a digerire tutto quel liquame frammisto a manicaretti.

Ecco svilupparsi una nuova letteratura. Centinaia, migliaia di parole d'ordine si coniugano in matrimoni promiscui fra teoria del caos e culto dell'LSD, fra neopaganesimo e antirazzismo, fra teorie della complessità e neoesoterismo...
Guardate la dimensione di questi libri per nuove generazioni in astinenza di nuove rivoluzioni, quelle che ci guardano e dicono: «Beato te che hai visto il sessantotto. Ma ora cosa ci hai lasciato per protestare, per cercare di cambiare il mondo. I semplificatori terribili , rispetto a ieri, oggi hanno dalla loro tonnellate di cult books dalla tecnocultura, al cyberpunk, alla new age. Ieri, a parte Marcuse e Adorno, con qualche incursione sulla Heller e giù di lì, i punti di riferimento non erano moltissimi e in fondo non dicevano cose troppo diverse fra di loro. Tuttavia i giovani spaccavano il capello e si soffermavano su tutto per riconoscerlo diverso... troppo diverso. Oggi tutto è buono e, debitamente mondati da differenze non volute, ogni scritto è poi solo un altro modo di dichiararsi d'accordo con tutti gli altri. Fra Tao e quantistica non c'è differenza. In fondo se Lao Tze fosse nato oggi avrebbe scritto la Teoria delle Catastrofi. Siamo entrati nell'era dell'equipollenza culturale. Ogni cosa è stata già detta e ogni pensiero ribadisce le conclusioni degli altri. Se uno la mette sul bianco e l'altro sul nero, in fondo poco importa. Sono tutti geni e tutti preannunciano l'era dell'acquario. Di quante infinite catastrofi è pieno il mondo e quanti geni popolano l'underground della rete non se ne può più di leggere da ogni dove. Pure il copyright intellettuale è messo in discussione così che ognuno possa appropriarsi delle idee degli altri, snaturarle, massificarle, omologarle e nessuno ha la responsabilità di quanto sostiene e degli effetti di questo. Nessuno paga, nessuno guadagna, nessuno crede, nessuno diffida. Tanto è tutto lo stesso. Può darsi che ci sia del buono, ma non vale la pena di parlarne finché non l'avremo verificato. In questa nostra società bisogna vendere le teorie arrivando prima degli altri. Come si potrebbe dunque mai controllarne l'esattezza. Dobbiamo metterle in grado di essere consumate subito. A capire che cosa pensavamo quando stavamo scrivendo avremo tempo nel rileggere il macrovolume quando uscirà, sempre che non si sia già troppo impegnati a scriverne un altro.

Fermiamoci a discutere e troviamoci di persona per farlo prima di sfornare nuove idee a buon prezzo. Soprattutto dibattiamo e critichiamo prima di tornare nuovamente a leggere.

Stiamo uccidendo la cultura. La cultura non nasce dal "cibo" che si assume, ma solo da quello che si digerisce. Il resto è merda che ci seppellisce fin sopra la testa.

Io, dal canto mio, vorrei, un po' alla Gaber o alla Moretti, essere un dittatore culturale. Quando sarò eletto il mio primo decreto sarà quello di proibire libri con più di cento pagine. Impedire le citazioni e soprattutto i volumi sinottici. Soprattutto impedirei ai giornalisti di simulare una produzione culturale.

Negli anni '10 (si ho detto dieci) un esoterista di nome Steiner predisse che nella seconda parte del secolo la tecnologia avrebbe avuto la meglio su altre dinamiche sociali e che la conseguenza di questo sarebbe stato un impoverimento culturale. Questo fenomeno, diceva sempre Steiner, provocherà una recrudescenza delle malattie, perché proprio dall'assenza di una cultura forte si generano le pestilenze.

Alla prossima reincarnazione, Camus, scriverà della peste sulla Rete?

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